Educare alla sostenibilità: nuovi curricoli per il cittadino terrestre | Percorsi e riflessioni dall’XI Seminario di educazione interculturale

testo a cura di Giovanna Cipollari – responsabile Eas CVM

Da sinistra, il tavolo dei relatori e rappresentanti delle istituzioni: Roberto Mancini – Università di Macerata e di Mendrisio (Svizzera); Antonio Mastrovincenzo – Presidente del Consiglio regionale delle Marche; Giulia Pigliucci – Ufficio stampa Focsiv; Enrico Giovannini – Portavoce ASviS – Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile

Nei giorni 8 – 9 settembre 2017 si è svolto, nella sede del Liceo Medi di Senigallia, l’XI° Seminario di educazione interculturale promosso da CVM di intesa con il MIUR e patrocinato dalla Focsiv, dal  Comune di Senigallia e dall’Unione Europea. Il Seminario, di dimensione internazionale, quest’anno ha focalizzato l’attenzione intorno alla Sostenibilità quale problema che interroga l’intera Comunità Umana e impegna gli educatori a promuovere il pensiero creativo e progettuale dei nuovi cittadini della società planetaria, chiamati a essere responsabili del bene comune.  La mattinata di venerdì, dopo l’incipit da parte del dirigente del Liceo Medi Dottor Daniele Sordoni,  si è aperta con i saluti delle numerose autorità intervenute: il Dottor Antonio Mastrovincenzo quale esponente della Giunta Regionale, l’assessore alla cultura del Comune di Senigallia Simonetta Bucari, il presidente Focsiv Gianfranco Cattai.

 

Roberto Mancini, Università di Macerata e di Mendrisio (Svizzera), durante la sua relazione “Ci può essere uno sviluppo etico?”

“Etica è la coscienza delle interdipendenze”

La lectio magistralis di apertura “Ci può essere uno sviluppo etico?” Società sostenibile e rigenerazione della scuola è spettata al professor Roberto Mancini, Docente nelle Università di Macerata e di Mendrisio ( Svizzera), che  ha precisato lo stretto  nesso tra sostenibilità e  coscienza etica intesa  come forma di interiorizzazione della  relazione con gli altri e con il mondo e della responsabilità che ciò comporta.  La responsabilità richiede creatività, cura, forza euristica di trovare soluzioni di bene ai problemi, agli squilibri e alle forme di degrado. Etica è dunque la coscienza delle interdipendenze e l’etica del bene comune che correla dignità umana e dignità della natura.  Quando a scuola si afferma questa etica,  si restituisce la sua funzione educativa e la sua vocazione ad attivare processi di democratizzazione che sono indispensabile al processo di affermazione della Sostenibilità. La democrazia compiuta è la grande novità verso cui avviare la rigenerazione della scuola: la scuola non deve tornare al modello precedente (nozionista, autoritario) né snaturarsi sul modello della scuola-azienda, ma deve vivere un’autentica  trasformazione per diventare una Comunità aperta, la scuola che forma persone-cittadini capaci di esprimere una forza rigeneratrice e trasformativa della società.  La scuola del cosmopolitismo quotidiano prepara una società comunitaria in grado di coevolvere, di coabitare un Pianeta sottratto all’autodistruzione di soggetti atomizzati da pericolose logiche di mercato. Per questo gli insegnanti devono dare forma maieutica alla didattica quotidiana e forma politica alla loro azione civile, promuovendo un altro modello di scuola, ispirato alla democrazia corale e alla sostenibilità come criterio per una società libera dalla trappola in cui si trova oggi.

“Il Piano di Educazione alla sostenibilità”. Sostenibilità e politica

Sul fronte de “La sostenibilità come cambiamento di paradigma e di stile di vita” il professor Enrico Giovannini dell’Università di Roma “Tor Vergata”, in qualità di portavoce dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, ha esposto le linee di indirizzo ministeriali per assicurare un futuro più equo ed inclusivo per tutti  puntando sulla realizzazione dei 17 goal dell’Agenda 2030. In conformità a un accordo tra Miur e Ministero dell’Ambiente si è costituita una Commissione, presieduta dallo stesso Giovannini, che ha elaborato “Il Piano di Educazione alla sostenibilità” da realizzare con venti azioni in quattro macro – aree: dall’edilizia alla formazione dei docenti; dall’amministrazione centrale all’accesso all’Università; dalla didattica alla ricerca. Su questo input la Rete delle Università per lo sviluppo sostenibile (R U S) il 10 luglio di quest’anno, nel corso della sua prima assemblea nazionale, ha discusso una «Carta della sostenibilità», con particolare attenzione alla didattica per lo sviluppo sostenibile.  Le scuole , sulla base del Piano sopra citato, sono invitate a partecipare ad iniziative quale quella il Concorso Nazionale: “Facciamo 17 goal. Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile”( http://www.asvis.it/).

 

Global Schools”, formazione e alleanza tra mondo della scuola e della società civile

Dopo una breve pausa la mattinata di studi è ripresa con l’intervento della dottoressa Francesca Vanoni quale coordinatrice del progetto Europeo “Global Schools”, di cui la provincia Autonoma di Trento è capofila e CVM partner qualificato. Lo stato dell’arte del progetto evidenzia punti deboli e punti forti. Sicuramente è motivo di soddisfazione aver conseguito una forte alleanza tra mondo della scuola e società civile focalizzando l’attenzione soprattutto sulla formazione da erogare non solo a docenti, ma anche ai politici degli enti locali e agli stessi giornalisti quali soggetti coinvolti nella formazione della cultura inclusiva di cui necessita la nuova cittadinanza globale. Altro merito del progetto è l’aver attivato una ricerca per comprendere gli antecedenti di questo filone educativo perché solo una prospettiva diacronica rende possibile una meta cognizione e una possibilità di crescita e miglioramento. Sempre sul fronte degli aspetti positivi si annovera il travaso delle prospettive emerse in due anni di riflessione dalla Commissione di Studi del progetto “Global Schools”, all’interno del tavolo di lavoro volto all’elaborazione di una strategia nazionale di ECG, promosso su iniziativa del Consiglio Nazionale per la Cooperazione allo Sviluppo (CNCS) e del Ministero affari Esteri (MAECI).  Altra significativa nota di questa progettazione è stata  l’erogazione di  Corsi di Formazione per Formatori  di Formatori. In tal modo si è costituita nella Provincia Autonoma di Trento e nelle Marche una rete di soggetti in grado di implementare la proposta sia all’interno delle proprie scuole sia in altre scuole generando un movimento di pensiero che partendo dalla base opera contestualmente sulla  dimensione orizzontale dei colleghi e su quella verticale delle istituzioni. Rilevante è stata anche l’esperienza di docenti marchigiani che sono entrati nelle scuole dei paesi partner acquisendo esperienze illuminanti a livello didattico e professionale. Come punti critici si evidenziano lo sbarramento temporale di un Progetto di così ampio respiro e la difficoltà di condividere con i partner europei le modalità di riforma del sistema scolastico in chiave di  revisione epistemologica delle discipline e  dei curricoli etnocentrici, la cui permanenza  nei singoli paesi contrasta la finalità educativa della ECG. Rappresenta un’eccezione felice il caso del Portogallo in cui i Progetto della “Global Schools” è stato assunto come un’occasione di investimento culturale da parte del Ministero dell’Educazione, che –  di intesa con quello degli Esteri –  ha avviato la sperimentazione di un curricolo di Cittadinanza Globale.

Da sinistra a destra: (affianco della traduttrice, col microfono in mano) Maria José Neves , del Ministero della educazione Portoghese. Giulia Pigliucci, moderatrice dell’incontro e responsabile ufficio stampa Focsiv e Francesca Vanoni, Project manager del progetto Global Schools EU.

Educazione alla cittadinanza e allo sviluppo, il modello portoghese

In sede seminariale Maria Josè Nives, funzionario della Direzione generale del Ministero dell’educazione portoghese, ha illustrato questa esperienza. In Portogallo si è realizzato il Progetto pilota “Autonomia e flessibilità curriculare” – 2017- 2018 (Ordine No. 5908/2017)  che ha attivato tre percorsi.  In tutti gli ordini e gradi di scuola è stato consigliato lo svolgimento in chiave multidisciplinare di argomenti relativi ai Diritti umani, alla Questione di genere, all’Intercultura, allo Sviluppo sostenibile, all’ Educazione ambientale e alla Salute. Nel 2° e 3° ciclo di educazione di base l’Educazione alla cittadinanza e allo sviluppo è stata inserita come materia specifica mentre in tutti gli ordini di scuola i temi imprenditorialità, mondo del lavoro, rischio, sicurezza, difesa e pace, benessere animale e volontariato sono stati svolti a livello opzionale. Questi percorsi sono linee-guida che offrono strumenti di supporto utilizzati o adattati in base all’autonomia di ogni scuola; le opzioni possono essere definite in ogni contesto,  individuando le pratiche da sviluppare. L’obiettivo del documento ministeriale è quello di aumentare la consapevolezza e la comprensione delle cause dei problemi dovuti allo sviluppo e alle ineguaglianze, a livello locale e globale, in un contesto di interdipendenza e globalizzazione, al fine di promuovere i diritti e i doveri di ogni persona a partecipare e contribuire ad uno sviluppo integrale e sostenibile.

La sostenibilità nella storia: come insegnare che non esistono soluzioni semplici

La mattina del sabato è stata aperta dal professor Antonio Brusa dell’INSMLI (Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia) con la relazione su “L’insegnamento storico: episodi sostenibili e non”. La questione di fondo è quella di riflettere per attivare conoscenze e competenze per un curricolo di storia che avvia alla costruzione della nuova cittadinanza attraverso i nodi della storia che si configurano come questioni sensibili. Fin dalla remota preistoria c’è stato sempre un problema di sostenibilità e allora furono sterminati mammut, pachidermi, bisonti antichi. Questa estinzione è stata una vera e propria bomba ecologica che generò disastri e opportunità. Anche nel cosiddetto “pacifico neolitico” si riscontrano massacri e fosse comuni, la più famosa distruzione è quella di  Schöneck-Kilianstädten. Passando allo scenario tra 1650-1150 a. C. s’individuano le tracce di villaggi fortificati, circondati da un terrapieno e da un fossato, chiamati terramare e databili fra l’età del bronzo media. Attorno al 1200 a.C. tuttavia il mondo dei villaggi terramare entrò in crisi e dopo qualche decennio i terramare scomparvero. Gli archeologi non hanno ancora una risposta per spiegare questo fenomeno ma è possibile che una serie di cause, antropiche e naturali, abbia determinato la fine del sistema terramaricolo. Tra queste non si può escludere un peggioramento climatico, anche di scarsa entità, che potrebbe aver procurato una crisi dell’economia agricola, base del sostentamento degli abitanti dei terramare. Il cambiamento di clima, tuttavia, non sembra poter essere l’unica causa di un collasso così drastico. Durante l’impero romano l’estrazione dell’oro dalle miniere più ricche che si trovavano in Spagna, al confine dell’attuale provincia di Leòn, determinò il degrado di un paradiso incantato.  I Vikinghi a loro volta, come viene riportato da Diamond nel suo celebre libro “ Collasso”, invasero zone diverse, ma l’insuccesso o il successo della loro conquista  fu condizionato dalla capacità o meno di relazionarsi con i contesti ambientali. Questo breve excursus attesta che la questione della sostenibilità è un problema complesso che riguarda cultura, politica, clima, azione umana, economia. La complessità del presente va affrontata anche attraverso la conoscenza del passato, che sicuramente non offre chiavi di soluzioni ma mostra che cosa hanno fatto altri uomini di fronte a problemi che già allora avevano a che fare con la sostenibilità del pianeta.  Mettere in una prospettiva diacronica i fatti del presente consente di rifletterci sopra, di aprire dei dibattiti. Insegna la complessità dei fatti sociali, e conseguentemente, l’impossibilità di immaginare soluzioni semplici e facili dei problemi, ma al tempo stesso consente di dare dei criteri di valutazione e soprattutto la competenza di vedere che tutto si trasforma per cui anche il presente può essere modificato. Questa è la grande lezione che lascia la storia per un cittadino del III Millennio disposto a mettersi in gioco attraverso una didattica conversazionale che provoca un dibattito civile quale elemento indispensabile per il funzionamento di un’autentica democrazia. La storia (con altre discipline) fornisce dunque la migliore attrezzatura mentale, al momento disponibile, per leggere e comprendere i fenomeni complessi, all’interno dei quali occorre fare le scelte.

La platea del Seminario

Il consumo dell’energia, epoche sostenibili e insostenibili

A seguire  la relazione su “Sostenibilità e sviluppo umano” del Professor Paolo Malanima dell’Università di Catanzaro. Il professore ha trattato il problema del consumo di energia in una visione diacronica che dal presente rimanda al passato per poi tornare ai giorni nostri. Attualmente il maggiore consumatore  di energia moderna è  il Quatar con più di 5000.000 kcal al giorno, mentre gli USA si attestano sui 200.000 kcal e l’Italia sotto i 100. 000. Privilegiando una prospettiva legata ai consumi energetici, la storia può essere articolata nelle seguenti epoche:1.Età del cibo 2. Età del fuoco 3. Età delle biomacchine 4. Età dei combusibili fossili. 1) Nell’Età del cibo i livelli più bassi di consumo di calorie sono Angola, Repubblica Centro-Africana, Burundi… Eritrea con 1590 calorie di contro i 3300 consumato da Europa e USA. 2) Nell’età del fuoco ci si pone la domanda su quali combustibili hanno costituito le differenze internazionali (temperature, industria, usi sociali) 3) Nell’età delle biomasse il diverso accesso alle risorse è stato legato a mulini idraulici e a vento, navi a vela e allo stesso sfruttamento del lavoro degli schiavi. 4) Nell’Età dei combustibili fossili la foresta sotterranea e la crescita di energie moderne e di energia meccanica sviluppano i differenziali  energetici. Nelle slide conclusive della sua  relazione il professore Paolo Malanima ha  mostrato come il consumo di energia pro capite in Europa abbia avuto in quest’ultima parte della storia un salto esponenziale elevatissimo per cui negli ultimi cinquant’anni si è passati dal consumo di 60 Gigajoule del 1950 a  quello di 140 Gigajoule del 2.000 per arrivare a 155 Gigajoule nel 2010. Transizione economica e transizione energetica sono state , in Italia come in tutta Europa , due aspetti correlati nel processo della crescita moderna. La transizione energetica, che è consistita nella disponibilità di fonti a basso prezzo, capaci di adeguarsi con flessibilità alla domanda proveniente dalle attività produttive, ha costituito l’elemento chiave del cambiamento economico degli ultimi due secoli. Ciò nonostante il nuovo scenario impone degli interrogativi alla luce della crisi ambientale ed economica contemporanea.

 

Antropocene e Grande accelerazione, possibili soluzioni

Hanno chiuso la mattinata due ricercatrici:  la prima Desirè Quagliarotti dell’ Istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo (ISSM) ha parlato su  “La sostenibilità:  il clima e non solo” e l’altra Gabriella Corona del  Centro Nazionale delle Ricerche (CNR) su “L’Italia è un paese sostenibile?”  La dottoressa Quagliarotti ha aperto la sua relazione con la definizione di “Antropocene”, che ha lo scopo di identificare una nuova era geologica caratterizzata da una pressione umana sui sistemi naturali talmente forte da poter essere paragonata alle forze geologiche che hanno plasmato e trasformato la terra nel corso della sua lunga storia. I geologi concordano nell’affermare che la pressione umana sui sistemi naturali è iniziata con la Rivoluzione Industriale quando, grazie al progresso scientifico e tecnologico, l’uomo ha cominciato a utilizzare i combustibili fossili e a sfruttare in maniera insostenibile le risorse naturali. Questo fenomeno ha subito un notevole incremento a partire dalla metà del secolo scorso, durante la cosiddetta «Grande Accelerazione» ovvero quando la crescita della popolazione e lo sviluppo economico hanno iniziato a modificare tutti i sistemi naturali. Questa consapevolezza ha spinto gli esperti a introdurre il concetto di “confine planetario” e hanno individuato i limiti che l’uomo non deve superare per non innescare trasformazioni irreversibili. Il cambiamento climatico è la dimostrazione di una situazione che interroga tutti sul futuro del nostro pianeta.  Il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC) ha emanato un report sulle situazioni di grave crisi: acidificazione degli oceani, surriscaldamento globale, scioglimento dei ghiacciai, innalzamento del livello del mare e degli oceani, conflitti per l’accaparramento delle risorse idriche.  Secondo la NASA è molto improbabile “che il mondo riesca a rimanere entro un limite di aumento di temperatura di 1,5-2 gradi come concordato nel dicembre 2015 nel corso della Conferenza mondiale dell’Onu sul clima a Parigi. Con questo ritmo crescente del riscaldamento globale, la Terra si riscalderà nei prossimi cento anni a una velocità “almeno” 20 volte superiore rispetto alla media storica … con una prevedibile catastrofe ambientale. La dottoressa Gabriella Corona ha precisato che il rapporto tra l’uomo e la natura è uno degli ambiti su cui maggiormente la cronaca ci chiama a riflettere e a inquadrare i problemi del presente in una prospettiva di più lungo periodo per comprenderli in profondità andando oltre l’informazione mediatica, per poterne individuare le soluzioni. Ed è in questa prospettiva che la storia non può più essere mera narrazione di fatti, bensì essa è chiamata a svolgere il ruolo di storia problema, che studia e analizza i processi nella loro complessità. Si tratta di problemi che travalicano i confini nazionali per abbracciare ambiti di carattere globale, ma essi possono essere anche intrinsecamente legati a una dimensione territoriale piccola che segna i confini quotidiani delle nostre vite. Ed è, d’altra parte, questa la prospettiva di un insegnamento della storia capace di formare cittadini e classi dirigenti del futuro in grado di operare non solo secondo i principi sanciti dalla costituzione, ma anche secondo una gamma di valori e di istanze poste dai nuovi e complessi problemi di fronte ai quali la contemporaneità ci sta rapidamente e violentemente ponendo . Gli Ecological Economics tra cui Georgescu Roegen, Herman Dely, Partha Dasgupta, Robert Costanza, Enzo Tiezzi hanno lavorato alla definizione di un sistema economico fondato sui flussi naturali rinnovabili di energia e di risorse naturali senza accelerarne la crescita e la distruzione delle risorse e hanno elaborato un’idea di economia compatibile con i tempi e le leggi che regolano la rinnovabilità della natura, definendo una teoria del valore delle risorse naturali. Si può dunque trovare un equilibrio tra economia e ambiente, tra attività umane e risorse naturali. E’ possibile costruire un sistema economico in grado di soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri. Con gli Ecological Economics i saperi economici hanno recepito  dunque la visione sistemica della natura in contrapposizione alla visione meccanicistica che vede la natura come una macchina in cui ogni elemento svolge una sua funzione  (Cartesio, Bacone, Newton) che separa l’uomo dalla natura. All’interno del loro ragionamento la natura non è più concepita come wilderness bensì come risorsa, un concetto che fa riferimento a qualcosa di vivo che si rinnova continuamente (da “resurgere”). Tuttavia nell’era del global warming e dei tentativi di mettere in atto misure globali di contenimento delle emissioni inquinanti, in Italia si registra il fallimento delle politiche ambientali. E su questo non si può che auspicare un approfondimento storiografico. Il nodo intorno al quale far ruotare la riflessione dovrebbe essere lo studio dei meccanismi di funzionamento e coordinamento delle amministrazioni pubbliche per quanto riguarda l’applicazione degli interventi diretti al governo del territorio e alla tutela degli equilibri ecologici: il contenimento del consumo del suolo e del dissesto idrogeologico, lo smaltimento dei rifiuti e il recupero delle materie seconde, il contenimento dell’inquinamento industriale e urbano, la costruzione ordinata e sostenibile delle periferie, la riduzione dell’abusivismo edilizio, la tutela della biodiversità, la lotta ai fenomeni eco mafiosi. La categoria di “ambiente” così come si è affermata a partire dagli anni Sessanta e che si caratterizza per l’approccio ecologico e sistemico, si è andata ad affiancare nel dibattito pubblico e nelle istituzioni ai modi in cui storicamente si è guardato al rapporto tra uomo e natura, e cioè attraverso le categorie di “paesaggio”, “igiene e salute”, “territorio”.  A tutt’oggi esistono visioni differenti tra le istituzioni e lo Stato e ciò rende estremamente difficile realizzare un agire integrato e finalizzato agli obiettivi promossi dagli Ecological Economics.

Nel pomeriggio si sono tenuti diciotto diversi laboratori (nove per giornata) interattivi e facilitati da esperti del settore educativo.

Laboratori interattivi e pratici sui temi dell’Agenda 2030 hanno animato i due pomeriggi, mentre in quello di venerdì in una sala dell’Hotel City i professori Universitari in un Focus Group riflettevano sulle possibilità  di avviare una Ricerca per la revisione epistemologica dei saperi e dei  curricoli scolastici con lo scopo di attivare l’Educazione alla Cittadinanza Mondiale, quale finalità educativa ormai inderogabile per le nuove generazioni di studenti L’interrogativo di fondo è come promuovere  una ricerca di cui si prenda carico le Università in alleanza con una serie di soggetti parimenti coinvolti in questa riforma del pensiero delineata dalle stesse lezioni del Seminario.

Nella serata di Venerdì un toccante spettacolo su“ Nostro figlio è nato” per la regia di Alessandro Ghebreigziabhiher” ha richiamato il tema della necessità di educare alla pace i giovani che stanno vivendo uno scenario di conflitti e minacce inquietanti.

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